Il Patriziato
Frequente, torna nel cittadino, la domanda a chiedersi cos’è il patriziato.
Le lunghe diatribe locali, si perdono nel tempo, nel quale, seppur mai ben definito, il termine “patrizio” era sinonimo di primitivo orgoglio, di appartenenza a un’entità giuridica in possesso, talvolta, di beni notevoli, conservati gelosamente, inalienabili e il cui frutto veniva periodicamente dato a sostegno delle famiglie patrizie.
Il patriziato (nei tempi remoti chiamato vicinato o vicinia) è un assieme dì gestori di beni comuni indivisi, tramandati da generazioni. Un’istituzione che nel Ticino si è sempre, fortunatamente, mantenuta vitale. In Capriasca, accanto alle antiche Corporazioni dei terrieri – alcune delle quali ancora operative – i Patriziati sono e restano proprietari di diritti d’uso, di beni amministrativi, patrimoniali e talvolta culturali. Beni sempre gestiti con saggezza dai responsabili e che annoverano un assieme notevole di boschi, pascoli, alpi, stabili pubblici o di reddito.
Inoltre, talvolta notevoli, capitali in denaro, frutto di vendite forzate, come è stato il caso, nel secolo scorso, quando alcuni nostri patriziati furono obbligati dalla Confederazione a rinunciare a grandi superfici montane destinate alle necessità militari. Imposizione che portò sì, parecchio denaro nelle casse, ma che impoverì questi enti di beni preziosi, tramandati nel tempo e alla cui origine di possesso sta ancor oggi la “Carta della libertà della Capriasca“.
Tornando alla base giuridica del patriziato troviamo la Legge organica specifica emanata dal Canton Ticino (1. giugno 1835). Legge che si rivelò, con il trascorrere del tempo, assai lacunosa per tutti gli enti. Fortunatamente fu ripresa dopo oltre un secolo (135 anni) dalla mozione dell’avv. P.F. Barchi, i cui effetti dal 1970 in poi, hanno determinato le strategie di sviluppo e di gestione dell’entità patriziale.
Rivitalizzando l’istituzione e portando un notevole e maggior interesse per quest’assieme comunitario, cancellando definitivamente interpretazioni dubbie in fatto di beni comuni privatistici, indirizzati a specifici vantaggi a favore di una ristretta cerchia. Svolta che contribuì notevolmente a modificare l’aspetto primitivo del patriziato. La legge servì a definire quelli che sono i veri scopi dell’ente: mantenerne la continuità amministrativa, non alienare i beni comunitari con una stretta e limitata vendita e permettere la concessione del titolo di patrizio — molto limitata ancor oggi — al cittadino che ne fa richiesta.
In tal modo, è subentrata una nuova filosofia gestionale, basata essenzialmente su vedute più consone e aperte, indirizzata verso lo scopo primordiale che il patriziato è chiamato ad assolvere nei confronti dell’intera comunità nella quale esso opera. Un aspetto ben determinato, ricco di motivazioni atte a dare concretezza a quelle che un tempo erano definite “vicinanze”, concetto che racchiude assai bene il vero operare di questa istituzione giuridica.
Aldo Morosoli